A chi possiede un gatto accade di ascoltare persone sostenere che l’adozione del micio è determinata dalla necessità di colmare un vuoto affettivo causato dalla mancanza di un figlio. Una teoria che in una società a bassa natalità e con una popolazione felina sempre più crescente appare sostenuta dai fatti. La donna manager votata alla carriera o la vecchia signora rimasta sola vedrebbero, con gli occhi del proprio inconscio, senza quindi esserne consapevoli, nel proprio gatto un figlio perduto o desiderato. Non dobbiamo, però, credere che sia un’idea nata dall’uomo della strada è in realtà una teoria scientifica portata avanti e studiata sia dagli etologi che dagli psicologi. La tesi, detta degli animali schermi, ci dice che proiettiamo nei nostri amici pelosi i nostri desideri, trasformandoli in animali umanizzati, in figli appunto. Le attenzioni, le cure e |
l’affetto che riversiamo sul micio di casa lo facciamo perché in lui vediamo un nostro figlio. Ma quel figlio con baffi e coda, beatamente disteso sulla poltrona o nella propria cuccia oppure festosamente ronfante la mattina mentre gli prepariamo il pasto a noi esseri a due zampe come ci vedrà? Probabilmente il processo proiettivo effettua un percorso inverso: se noi nel gatto di casa vediamo un figlio lui in noi vede una mamma. E’ una spiegazione che divide il mondo scientifico alcuni come il ben noto etologo Giorgio Celli, la sostengono, altri addirittura la deridono. Personalmente, però, pensare che i miei gatti mi vedano come una madre in cui cercare e dare affetto non mi dispiace affatto. Per questo voglio sostenere tale tesi, in maniera del tutto imparziale quindi, riportando un episodio noto a tutti i proprietari dei gatti. Il micio di casa spesso si lascia andare ad un comportamento un po’ strano che in gergo è chiamato “fare il pane”. Il felino cioè preme con le zampe anteriori in modo alternato sulla nostra spalla o sul petto. Il significato di tale gesto lo spiegò già Darwin nell’ottocento, ed è il movimento che il cucciolo effettua con le zampine sulle mammelle della madre per ottenere il latte. Da adulto il significato di tale comportamento cambia, da richiesta di cibo a richiesta d’affetto, ad atto intimo e di grande tenerezza e confidenza, quella appunto che può instaurarsi fra un figlio ed una mamma. Perché appunto se il gatto ci “fa il pane” come lo faceva alla propria mamma quando era appena nato, vuol dire la proietta in noi, vedendoci come un surrogato della figura materna. Qualche scettico obietterà però che il micio spesso è colto a compiere la suddetta operazione non sul padrone ma, ad esempio, su un cuscino. Vorrà dire che la morbidezza di quest’ultimo innesca un ricordo antico divendo il feticcio di una madre perduta non togliendoci nulla del nostro, rivendicato ed orgogliosamente ostentato, ruolo di madri. |