Questa
è una storia qualunque che si svolge in un qualunque quartiere
dormitorio del nord d’Italia, in una qualunque fabbrica. E’
una storia semplice, di persone semplici con una vita difficile,
di un padre ed un figlio che non hanno saputo capirsi
e comprendere, perché quando la vita è difficile diventa
complicato anche comunicare, trovare il tempo per fermarsi a parlare,
per spiegarsi, per conoscersi. La storia di Franco
( ma potrebbe chiamarsi Gianni o Mario) è accaduta realmente
e racconta di come i gatti possano, a volte anche con
un pizzico di magia, favorire i rapporti umani. “
Franco era rimasto sul letto a fissare il soffitto vuoto, quel vuoto
che i suoi pensieri tendevano a riempire. Pensava a trenta anni prima,
quando, ancora giovane, entrò in fabbrica: allora era orgoglioso
di quel posto e pieno di speranze. Finalmente avrebbe potuto sposare
la sua Maria, comprarle una casa, tirare su dei figli. |
Girò lo sguardo e fissò, fuori della finestra, l’alta ciminiera: imponente e minacciosa, sovrastava l’intero quartiere. “Maledetta!”, sussurrò fra sé. Il cielo era grigio, come sempre. Si sforzò di ricordare un giorno senza foschia, senza nuvole grigie, una giornata di pieno sole ma non gli ne venne in mente una. “Maledetta!”. Quell’ aria che usciva dallo stabilimento, notte e giorno, sette giorni su sette, la respirava da cinquanta anni. Il suo acre odore aveva impregnato i suoi vestiti, i suoi capelli, la sua pelle. E quelle esalazioni così forti che si sentivano nei forni della fabbrica gli entravano ogni volta nelle narici, nella gola e gli bruciavano i polmoni. Un solletico improvviso sul volto lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò e vide il suo amato gattone Augusto. Augusto era ormai diventato il suo più grande amico: i suoi miagolii, le sue fusa, la sua presenza lo facevano sentire ancora amato, ancora utile a qualcuno e gli scaldavano il cuore. D’altronde, quel micio era un regalo della sua dolce moglie, Maria, che con i suoi sguardi, i suoi teneri sorrisi gli era stata accanto per venticinque anni, ma ora non c’era piu’: se n’ era andata cinque anni prima per un tumore ai polmoni. “Maledetta fabbrica!”. Franco raccolse le sue forze e si alzò dal letto. Augusto lo seguì. Entrò in bagno, si gettò dell’acqua fredda sul viso e guardò le gocce scivolare sulla faccia ed intrappolarsi nelle sue rughe. Bastasse dell’acqua per mandar via tutto! Gli errori fatti, la fabbrica, i dolori, gli anni passati e tornare indietro di 30 anni. Già, bastasse. Poi, all’improvviso, un bruciore forte al petto ed una serie di colpi di tosse interminabile fino quasi ad avere dei conati. “Maledetta fabbrica!!” Quella fabbrica che doveva dargli la vita e che, invece, la vita gliel’ aveva presa. Ma questo non gli importava ormai. Quello che lo faceva stare male, quello che non riusciva a capire era perché suo figlio Marco aveva voluto fare il suo stesso mestiere. Quante incomprensioni, quanti litigi, quante parole dette da suo figlio che gli avevano ferito il cuore. Non capiva, Marco, che desiderava una vita migliore per lui e non che venisse avvolto e distrutto dal fumo di quella stramaledetta industria!. Sentì nuovamente un forte bruciore al petto, ormai sapeva cosa lo aspettava: Colpi di tosse sempre più forti, senso di soffocamento e, forse, uno svenimento. E lui era rimasto solo, perché Marco, che proprio non lo capiva, se n’era andato due anni prima sbattendo la porta. Guardò per un attimo il suo micio, gli fece un sorriso per tranquillizzarlo, poi, appoggiò le mani sul lavandino per sorreggersi e chiuse gli occhi per raccogliere le proprie forze. Il dolore questa volta fu fortissimo, lancinante. Sentì i polmoni esplodere, il corpo tremare, i muscoli irrigidirsi. Aprì per un attimo gli occhi e vide il lavandino riempirsi di sangue. Svenne. Augusto non perse tempo. Quel gattone così casalingo che non osava metter il muso neppure sul pianerottolo, si precipitò all’uscita, fece un balzo sulla maniglia della porta e l’aprì. Corse velocemente giù per le scale senza nessuna remora. Non sappiamo come il gatto riuscì ad aprire anche il portone del palazzo, nessuno lo vide, ma sappiamo che riuscì a raggiungere la casa di Marco ed a convincerlo a seguirlo............ |
Il
medico aveva appena finito di medicare Franco, rimise in ordine la sua
valigetta e, dopo avere detto qualcosa a Marco, se n’andò
lasciando soli i due uomini. Dopo due anni, padre e figlio si trovarono
di nuovo insieme, l’uno davanti all’altro. Franco, nuovamente
disteso sul proprio letto, guardò il figlio. I loro sguardi comunicavano
più di quello che i due riuscivano a dire. Fu Augusto, allora,
a saltare sul letto ed a porsi tra loro ed a fare ad entrambi le fusa.
Il figlio sorrise, guardò il padre come ormai non faceva più
da anni, “Chissà, forse Augusto ci sta parlando per
conto della mamma, tu che dici, papà?” Franco sorrise
“Chissà, io ho sempre pensato che non ci abbia mai
abbandonato”. Seguì uno sguardo intenso, poi, ancora
Augusto con le sue fusa ed un miagolio d’incoraggiamento e finalmente
un abbraccio atteso da troppi anni. I due tornarono a vivere insieme.
Purtroppo Franco morì tre anni dopo per un cancro ai polmoni
ma vide lo stesso il figlio riprendere gli studi e diventare ingegnere.
Marco, oggi, è un apprezzato professionista impegnato nel controllo
delle fabbriche e nello sviluppo d’imprese compatibili con l’ambiente
e con l’uomo. Ed augusto? Augusto è diventato il compagno
di giochi di Matteo, il figlio di Marco, e gli dona ogni giorno l’amore
e l’affetto dei nonni Maria e Franco. |